lunedì 13 settembre 2010

Senza parole, soltanto stupore

Mi guardo allo specchio e mi faccio mille domande.

Mi osservo, ma so che lo sguardo non si ferma all'immagine di me riprodotta nel vetro. Va oltre, viaggia. Oltre gli occhi, oltre la pelle, attraversa tessuti, muscoli, organi. E si ferma al centro, immobile. Là, dove sono io. La parte di me che più amo e che, nello stesso istante, più odio.
Quella che penso sempre di conoscere ma che, lo so, non conoscerò mai abbastanza.
I miei occhi si fermano là, al centro del mondo, almeno del mio, e mi lasciano il tempo di osservarmi, di guardarmi. Un tempo sufficiente per provare a capirmi.
Alla fine quello che vedo è sempre la stessa cosa, quello mi pare quasi un luogo eterno, immutabile nel tempo, inaccessibile allo spazio. Mi vedo, sempre con gli stessi errori, sempre con gli stessi pensieri. Le stesse cose per cui lottare, la stessa, identica convinzione di riuscire soltanto a perdere. E quando mi guardo vedo me e, a volte, dentro me ci vedo il mondo.
Tutti con la stessa convinzione che nella vita non ci siano errori da scontare, quanto una sfortuna immensa e cieca da combattere.
Riesce sempre più facile lavarsi di dosso ogni responsabilittà, guardarsi nello specchio e vedersi puliti, piuttosto che accettare l'idea che, se uno sbaglio c'è, non nasce che da noi, dalle nostre scelte, come diretta conseguenza di ciò che abbiamo deciso. E' sempre più comodo puntare il dito verso il destino, la sfortuna, la cattiveria altrui, la mediocrità, gli eventi, piuttosto che ammettere che siamo stati, almeno una volta, dei coglioni.
Io mi guardo allo specchio e questo dito lo voglio puntare su di me, mi voglio guardare dentro, vedere lo schifo che ho accumulato, facendo finta di non essere responsabile delle mie scelte, e provare a toglierlo, una volta per tutte.
Non c'è nessun carnefice e, in fin dei conti, neanche nessuna vittima. E non sono stati nè destino, caso o sfortuna a portarmi qua, oggi, con questa sensazione di inadeguatezza, inconclusione, fallimento. Sono stata io. Con le mie scelte. Con i MIEI sbagli.
Ed ammetterlo è un buon punto da cui ripartire.

Il cuore di un bimbo appena nato pesa 20 grammi. 1 in meno dei 21 riservati all'anima, così si dice.

Se penso che il peso del mio oscilla tra i 230 e i 280 e non può andare oltre e alla perfezione nascosta dietro ad ogni singolo meccanismo nascosto dietro ad un semplice battito, ad un respiro o ad un movimento, mi viene da credere che la vita sia davvero meravigliosa. Che sia complicata, a volte difficile, sicuramente tutta da combattere.. ma sento che, per una precisione così perfetta, per un'attenzione delicata verso ogni dettaglio, ne vale la pena. Vale la pena lottare per difenderla, per mantenerla, per viverla e per non sprecare un secondo, un attimo, di questo meccanismo perfetto.
Mi sento malinconica stasera, forse è la stanchezza, forse è l'ennesima sensazione di meraviglia che provo di fronte a una complessità che, in fondo, all'apparenza sembra elementare.
Avrei voglia di ringraziare, per ogni istante che ho potuto apprezzare, per ogni sconfitta e per ogni vittoria, per le cadute che mi hanno permesso di trovare delle mani, tese verso la mia, per aiutarmi ad alzarmi.
Vorrei osservare la fragilità che sta dietro ad ogni nostro meccanismo, perfetto ma delicato, vorrei mischiare insieme gli ingranaggi che regolano le nostre esistenze, vorrei che non ci fosse una distinzione fra noi.

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