domenica 8 agosto 2010

Storia di un amore

Sto uscendo da una delusione che la mia non-superficialità non mi permette di superare indenne e con facilità. Una delusione per una persona che ho in definitiva "amato" per quanto poco sano sia l'amore. Amore che ho sempre rifuggito per principio ma che alla fine è capitato.

Ma, a volte, non riesco ad accettare alcune cose come la cattiveria gratuita e insensata, come l'intelligenta e la cultura unite all'ottusità e alla ristrettezza mentale, all'incapacità di vedere le relazioni tra le cose, di affrontare se stessi, di essere rigidi e chiusi.
E' una cosa tanto illogica...

Chiamatemi ingenua, chiamatemi sognatrice, vedete voi.


La mia storia comincia tra il serio e il faceto. Ormai 2 anni fa.
Si crea subito un feeling o un'attrazione intellettuale abbastanza particolare e non banale. E io mi infatuo di alcuni pregi che ancora stimo e apprezzo e di cui, a volte, sento nostalgia.
Continua lentamente e questa persona si insinua nelle mie parti più fragili e nascoste e io la faccio entrare, con fiducia.
Si crea un certo rapporto di amicizia.

Le cose, però, cominciano a non andare come dovrebbero. Mille ripensamenti, indecisioni, slanci di passioni, dichiarazioni d'affetto, contraddizioni, accuse, abbandoni, ritorni. Da qui si sono creati meccanismi di vittima-carnefice e di dipendenza (il rapporto dipendente tra vittima e carnefice si attua sempre in due).
Sentivo la grande felicità di sentirlo vicino e in suo potere e la grande infelicità di sentirlo lontano e in suo potere.

Sbagli di entrambi e paure di entrambi.

Comincia la crisi. Crisi dovuta soprattutto alla scarsa realtà e a paranoie di entrambi. Alla paura di affrontare la realtà da parte sua. Paura di soffrire. Paura di perderlo da parte mia.
Mi rifiutava gli incontri ma on line era presente sempre. Parlavamo quasi tutti i giorni per 6-7 ore al giorno.
I fraintendimenti e le tensioni si sono decuplicati.
Il mezzo di comunicazione è diventato quasi esclsivamente quello scritto. Contro la mia volontà.

Arriva l'abbandono (l'ennesimo).

Ne sono uscita con l'autostima azzerata, soggiogata psiologicamente, infatuata di una persona che alla fine ho visto pochissime volte e che spesso si è dimostrata falsa, bugiarda, immatura e cattiva. Ma, ormai, la dipendenza da parte mia era attuata.

Il dolore per la perdita è stato forte per me. Ma, da romantica quale ERO, ho tentato di recuperare.
Lui, come se mi odiasse (e non ho idea del perchè... io credo per un suo dissidio interiore di attrazione e repulsione nei miei confronti), ha cominciato a mettermi davanti l'Altra. Mi ha sostituita con una facilità e con una velocità che mi hanno dimostrato quanto fosse falso il suo mostrarsi prudente. Facendo paragoni espliciti e diretti in cui io, ovviamente, ne uscivo perdente, sempre. Cosa che io non sono mai riuscita a fare. Con nessuno.

Passata questa fase di grande dolore ho tentato di chiudere in modo pacifico. Ridimensionando, rimandando ad altri eventuali tempi se avessimo riconosciuto in futuro che il nostro rapporto poteva essere qualcosa di speciale (io sono molto cocciuta quando desidero una cosa) o augurandogli del bene casomai non ci fossimo più rivisti.
So per esperienza che l'odio e la vendetta legano a filo doppio mentre il chiudere bene e serenamente porta sempre tranquillità e accettazione della realtà.

Ed ero serena.

Conosco i miei limiti e so che a volte mi prendono momenti di nostalgia.

La vigliaccheria di non guardarsi dentro.
Il piacere che prova nell'avere questo potere.... queste cose mi fanno sentire davvero stupida. E mi sento umiliata. E non riesco a sfuggirne in alcuni momenti.

So che ora è colpa mia. So che è il non voler accettare di aver dato tanto tempo e tanto "cuore" a una persona tanto meschina. Di non voler accettare che, dopo tutto questo tempo, non sia rimasto nemmeno l'affetto.

Questa è la mia delusione. Grande.

Le persone che mi conoscono sanno che lotto. Sempre. E a volte mi manca la forza di distaccarmi completamente senza provare nulla. Ma non è molto nella mia natura.
Io "amo" raramente ma profondamente.
E mi ci vuole tempo.
Molti la chiameranno debolezza. Io la chiamo consapevolezza di me.
Mi accetto come imperfetta e vado avanti. L'ho sempre fatto. Accetto la mia fragilità affettiva che a volte si fa sentire. Ma sono forte nella mia onestà, nella mia coerenza e nel mio coraggio.

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