sabato 4 settembre 2010

Se il mio amore è una patologia, saprò come estirparla via

Cercando calore tra due cuscini bianchi.
Dormo sogni già visti, dormo sogni che poi al mattino non riesco a trattenere tra i pensieri. Questo no, no, questo non era un sogno, ma mi sveglio col rumore della pioggia che bussa al vetro e disperde buio ovunque. Pile di libri per terra che aspettano solamente la mia voglia. Ci sono aspettative ovunque in questa casa: tutte lasciate a metà. C'è pioggia ovunque. E mi scivolano addosso i sapori, gli sguardi, le urla di tutti gli altri.
Non posso parlare: mi abituo a ingurgitare la mia stessa vita. Affondarla da qualche parte lontano dal cuore, protetta da un fegato enorme e inaspettatamente resistente.
Quanti pugni ancora? Quante pillole di veleno ancora? Quanto ancora bisognerà pisciare scuro? Quanto ancora confondere il sangue con la normalità?
Prepotentemente si apre la strada tra i miei no e tra la mia quasi vana resistenza. Allora mi spezzo le unghie scavando, grondando sangue dal muro per poter spalancare finestre. Per far entrare luce.
Ci sono giorni in cui la realtà si arrende al bisogno di finzione. Sterile e illusoria. Che sale la rabbia e la pelle si scalda. Che sale la rabbia e i pugni si stringono. Che sale la rabbia e il silenzio diventa sporco e fa più rumore di quello che produce l'anima. Che sale la rabbia e sovrasta il dolore. Che non c'è pace neanche nel letto più bianco.
Lo so, capisco, che in te non ci sia un'evidente poesia. Ma accarezzerei il tuo viso per ore, scrivendoci sopra con una penna tinta di un'invisibilità indelebile. Accarezzerei i tuoi capelli per ore, passando con l'altra mano per le labbra, allontanando una volta per tutte una letale solitudine vissuta unicamente in compagnia di parole come "mai" e "per sempre".




Non voglio dire niente di comprensibile, sebbene per me sia tutto molto chiaro.





Lo so che il mio amore è una patologia. Vorrei che mi uccidesse ora.

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